Il MAAM: fabbrica sperimentale di produzione culturale

OTTOBRE 2014
 
testo di Carlotta Monteverde
fotografie di Paolo Landriscina
 

Questo articolo sarebbe dovuto uscire a dicembre 2014 sul semestrale di arte e cultura “ArtApp”, a conclusione di una serie di interventi, a mia firma, sull’arte pubblica. Per questioni di spazio abbiamo deciso di ritirare la proposta, ed ho approfittato di un magnifico servizio fotografico di Paolo Landriscina per pubblicarlo

(al pezzo originario non sono state fatte modifiche, quindi potrebbe sembrare, in alcuni punti, non solo “didascalico” ma con riferimenti poco chiari) sul blog della Takeawaygallery.
Perchè in questa sede: tra gli oltre 400 artisti che hanno lasciato un segno del loro passaggio tra le mura della fabbrica occupata, molti sono amici, alcuni conoscenti, e con altrettanti abbiamo avuto modo di collaborare nei cinque anni di attività. Nella selezione di immagini – che se fossero state di tutte le opere non sarebbe bastato un intero sito e che nella loro disposizione seguono un percorso per ambienti, non l’ordine alfabetico – i lavori (tra gli altri) di Giovanni Albanese, Paolo Assenza, Vito Bongiorno, Davide Dormino, Stefania Fabrizi, Itto, Micaela Lattanzio, Fabio Mariani, Mauro Maugliani, Veronica Montanino, Gianfranco Notargiacomo, Cristiano Petrucci, Alberto Timossi e Patrizia Trevisi.

 

 

L’esempio del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia, situato a Roma in via Prenestina 913 negli ex stabilimenti del salumificio Fiorucci, è significativo, per quanto ci riguarda, perché apre una serie di considerazioni legate allo status dell’arte pubblica, e lo studio del suo caso – ma non è questa né la sede né il momento giusti; qui mi limito a presentare il progetto – potrebbe aiutare a fare il punto sul grado di incidenza di tutte quelle pratiche che mettono marginalità e segregazione al primo posto di indagine, per capire come esse debbano relazionarsi in modo più efficace con la vita, con la società civile, per verificarne le metodologie e la portata. Nel disegno di una roccaforte multiculturale, trainata dall’attività di artefici di diverse generazioni e poetiche (sotto la direzione di Giorgio de Finis), entrano in ballo riflessioni su politiche di integrazione, diritto alla casa, contaminazione e muri tra patrimoni diversi, ragion di stato e sociale, dando luce ad un laboratorio continuo che canalizza le energie esplosive di territorio di confine in creazione di coscienza e conoscenza.
 

Cosa è il MAAM. La sua storia è riassunta nella mission/manifesto presente nel sito e nella pagina facebook (e le frasi in corsivo che seguono sono tratte da lì): a monte c’è l’occupazione degli ambienti, inutilizzati da diciannove anni, ad opera dei Blocchi Precari Metropolitani nel maggio 2009, che ha permesso a italiani, rom, sudamericani e nordafricani – in prevalenza – di ricavarsi una casa tra le macerie, o quasi, della fabbrica dismessa; il passo successivo è l’intervento di Giorgio de Finis e Fabrizio Boni che, con il cantiere etnografico, cinematografico e d’arte di Space Metropoliz – cioè attraverso le realizzazione del film omonimo – coinvolgono i 200 abitanti per sperimentare nuove forme di convivenza sociale. Artisti, residenti ed intellettuali intraprendono un “viaggio”, costruire un grande razzo per andare sulla luna, spazio pubblico, dove non si è più diseguali ma ugualmente diversi. Da questa esperienza prende vita il MAAM (dal 2012), come forma di resistenza: un museo che durante la sua stessa “edificazione” risana gli ambienti diroccati e li rende un’altra volta fruibili, predisponendo – tra gli altri – una ludoteca, aree comuni, una galleria temporanea. L’esposizione permanente e gli eventi correlati hanno la finalità di costituire un baluardo di difesa dallo sfratto della popolazione; coinvolgono attivamente chi vi vive, immigrati, “frange marginali della società”, e si attivano nei suoi riguardi con intento di tutela, con l’idea che l’arte sia realmente in grado di migliorare il mondo, con la pretesa che un angolo abbandonato di città possa essere alternativa e modello utopico di coabitazione nel rispetto della pluralità.
 

In tre anni il MAAM è stato animato in ogni singolo centimetro, anfratto, scala, torre, con opere permanenti, murales, performance, sculture, installazioni; vi si sono tenuti dibattiti, proiezioni, rassegne, mostre temporanee. La fitta rete di rapporti, di collaborazioni con galleristi, critici, curatori, altre realtà impegnate sul territorio e le numerose partecipazioni ad importanti appuntamenti internazionali (la Biennale dello Spazio Pubblico, la 54ᵃ Mostra Internazionale d’Arte di Venezia, FotoGrafia Festival Internazionale di Roma, São Paulo Calling, ecc…) hanno contribuito – assieme alle polemiche relative l’imminente sgombero e la cattiva gestione della Cultura a Roma – a mettere sotto i riflettori questa quotidianità “velleitaria” che si prefigge di trasformare l’intero ex-salumificio in un immenso oggetto d’arte condivisa (Intervista a Giorgio De Finis, thenextstop.eu, 2012). Giovani o “established”, in circa trecento hanno raccolto la sfida di produrre o donare uno o più lavori dietro alcun compenso, affiancandoli l’un l’altro senza barriere mentali o rigidità didattiche. Una breve e incompleta rassegna dei nomi: Giovanni Albanese, Alicè, Paolo Angelosanto, Davide Dormino, Kobra, Lucamaleonte, Pablo Mesa Capella, Veronica Montanino, Gianfranco Notargiacomo, Cristiano Petrucci, Cesare Pietroiusti, Stalker, Sten & Lex, Alberto Timossi, Gian Maria Tosatti, Antonello Viola… Noi invitiamo ogni artista a proporre un progetto che dialoghi con il luogo e che, se possibile, coinvolga anche nella sua realizzazione le persone che abitano Metropoliz, racconta Giorgio de Finis in un’intervista su Inside Art del 2013, mentre nel comunicato stampa di BanlieusArt (maggio 2014) si legge, sempre riguardo le modalità di relazione e confronto con i “Metropoliziani”: Il loro [degli occupanti] rapporto con l’arte è un sentimento contorto tra curiosità e inutilità, ma quando diventa chiaro che un’opera d’arte somiglia ad una barricata l’interesse aumenta e lo sguardo cambia, le complicità si svelano, le distanze diminuiscono.
 

Se le finalità progettuali sembrano essere principalmente la difesa della comunità, il consolidamento del gruppo, la risoluzione degli attriti; se alla pratica individuale viene sostituita la realizzazione corale; se all’intuizione svincolata dal contesto il lavoro nasce da riflessioni – nel migliore dei casi – che partono dall’analisi di quel contesto, non solo fisico ma anche culturale ed antropologico; se il “residente” diventa motore, mezzo e scopo di un intervento, allora l’arte si svincola dal semplice valore estetico ed il senso dell’opera si genera a prescindere dall’artista. Il MAAM nasce dal basso, a differenza di molta arte pubblica, sponsorizzata, voluta e incentivata dalle Istituzioni, sia locali che nazionali. Il MAAM scaturisce dal rapporto quotidiano degli organizzatori con la realtà in cui interviene, non attraverso sondaggi e consultazioni astratte. Cresce nella periferia abbandonata di Roma, anch’essa allo sbando, ed intercetta le pratiche relazionali alla base della convivenza urbana; in una periferia disgregata, conflittuale, ma non per questo meno vera, perché è proprio nei luoghi marginali dove la maggioranza della popolazione mondiale si accalca ed afferma la propria esistenza. Esso cerca di dare una risposta, attraverso la creatività, alle urgenze che scattano quando esclusioni, disparità economica, squilibrio regnano. Opera nel campo della solidarietà, per distruggere le barriere che creano segregazione ed emarginazione, e si agita a favore di una contaminazione culturale come immaginazione del diverso possibile, […] garanzia di non scambiare l’esistente per l’eterno.*
 

*cit. Hugo Pratt, Intervista a Giorgio De Finis, thenextstop.eu, 2012

 
Puntando il cursore sulle foto (senza cliccare) compaiono i nomi degli artisti:
 

 Alicè - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 
Micaela Lattanzio - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 
Paolo Assenza - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 
MAAM - Veronica Montanino - foto Paolo Landriscina
 
Giovanni Albanese - © Paolo Landriscina Photographer
 
 Patrizia Trevisi - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 
Itto - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 
Stefania Fabrizi - © Paolo Landriscina Photographer
 
Gianfranco Notargiacomo - © Paolo Landriscina Photographer
 
Alberto Timossi - © Paolo Landriscina Photographer
 
 Fabio Mariani - © Paolo Landriscina Photographer
 
 Vito Bongiorno - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 
Cristiano Petrucci - Catterale - © Paolo Landriscina Photographer
 
Veronica Montanino - © Paolo Landriscina Photographer
 
Davide Dormino - MAAM - © Paolo Landriscina Photographer
 

Photo © Paolo Landriscina
www.flickr.com/paololandriscina

 


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