Lulù Nuti, Sistema 2015
 

LULÙ NUTI, SISTEMA

 

Racconto / intervista di Carlotta Monteverde

 

È alla qualità della materia, al suo integrarsi senza contrasti né stridore agli antri bui delle Case Romane del Celio – il tepore e la delicatezza della densità della superficie del gesso, che beve lentamente la luce; i minuti riverberi che colpiscono e riflette il ferro – che è affidato il compito di trasmettere quel «senso di pace profonda» che «inesplicabilmente ci calma»¹. Come in una sequenza di scatole cinesi, la mostra di Lulù Nuti simula all’interno di una “casa” atmosfere “domestiche”, con il solo scopo di sensibilizzare «i limiti del suo stesso rifugio»². Come le opere, che in egual modo, raggiunto il proprio “centro”, fanno temere costantemente di cedere sotto spinte interne ed esterne.

 

“Sistema”, è un percorso site specific in cui sette installazioni ed un video rileggono la storia del Monumento elaborando i temi di rovina, metamorfosi e stabilità della materia: le Case Romane del Celio, restaurate e riportate alla fruizione nel 2002, sono state per secoli sepolte nelle fondamenta della Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo. Da luogo attivo, di vita quotidiana, a sito di culto martirale, all’interramento e alla perdita di ogni funzione; fino ad essere musealizzate nell’ultimo decennio. È il passaggio da una condizione all’altra – frutto di processi lunghi negli anni, o di istanti decisivi – ad interessare l’autrice; la natura di realtà transitoria insita in ogni azione, manufatto o monumento medesimo; la sostanza come “effimera”, successione tra due stati; l’eterna ciclicità di nascita e distruzione, tutti elementi riconducibili alla storia delle Case stesse.
Per rendere palese la sensazione di provvisorietà, trasformazione, Lulù Nuti dissemina l’ambiente di sculture e installazioni che “giocano” col concetto di equilibrio; lo simulano o lo mettono in scena per davvero. L’osservatore, tenuto a debita distanza da catenelle e barriere, è cosciente che un suo minimo gesto potrà mettere fine all’opera in questione; anche le basi, retaggio di una ricerca precedente sull’arte e la sua presentazione, sfidano la completezza e la solidità formale. Tutto concorre a minacciare la stabilità dell’intervento: il Ragno è sorretto da centinaia di fili da pesca, staccandone solo uno collasserebbe; nell’asta di legno tra la Sala dell’Orante e quella contigua le ceneri non sono fissate e a soffiarle volerebbero via, modificando il senso del lavoro. Anche i triangoli, a sfiorarli appena, cederebbero. Per quanto riguarda i “piedistalli” spiega l’autrice: «L’Uovo in gabbia (2010) è la prima scultura in cui la base ingloba l’opera. L’uovo invece di esservi poggiato è all’interno del proprio sostegno. In Socle végétal e Socle animal (2013), al contrario, il supporto non regge ma mette in pericolo l’intero progetto. Nelle Case, nel legno che passa da un muro all’altro, è presente l’idea del rischio perché è la carta che tiene l’asta ferma, mentre i triangoli espongono un equilibrio instabile. Però lì è predominante il concetto di rendere il posto la base del lavoro. Non è una mostra di mie sculture, è un intervento in un determinato spazio, che diviene armatura integrante dell’opera».

 

«Sistema è un insieme di elementi o concetti interconnessi tra loro organizzati in una struttura. Un insieme di proposte, di principi veri o falsi, messi in un certo ordine e concatenati in maniera tale da tirare delle conseguenze o servirsene per stabilire un’opinione, una dottrina o un dogma». Già utilizzare una definizione tratta da Wikipedia per presentare le linee guida su cui si fonda l’installazione è un’intenzione ben precisa: anche qui vi è la necessità di fermare qualcosa in continuo cambiamento, di stabilizzare informazioni che scompariranno a breve. Usare internet come fonte per i propri lavori non è nuovo per Lulù Nuti: il “dato” viene bloccato in anticipo sulla sua rapida trasformazione; un archivio della velocità nell’attimo prima di non esistere più. «Le Case Romane sono un ambiente che ha subito un degrado, che a un certo punto è stato consolidato da interventi esterni. Impercettibili. È un posto sospeso in una precisa temporalità. Quando entri nelle Case non ti accorgi dei trattamenti regolari di manutenzione, né di tutto ciò che fa sì che si reggano nella condizione attuale senza continuare a decadere. L’idea è che le opere facciano eco a questa transitoria stabilità, mostrando di proposito il sistema che le tiene in piedi; rendere visibile ciò che nelle Case non lo è. Rimarcarlo nei lavori è rendere omaggio al processo che contribuisce alla sua salvaguardia, all’operato umano, al continuo lavorio a noi contemporaneo che si prende cura del “manufatto” antico. Ho voluto mettere in risalto quello che non si riconosce quando si entra».
 
L’importanza dei materiali era stata già sottolineata al principio: la mostra provoca un dialogo tra sostanze che normalmente non si utilizzano assieme, il metallo e il gesso, dove il gesso arrugginisce subito il ferro e quest’ultimo, ossidandosi, si gonfia facendo scoppiare il primo. È una scommessa su come far coabitare due elementi incompatibili. «Le opere, dall’inizio alla fine del percorso, ostentano le relazioni naturali tra i due: le sculture nei vani d’ingresso sono pulitissime; nel Ragno della Bottega e nella S della Sala dei Geni il gesso è bianco, il ferro è lucente, sono vergini. Poi mano a mano si cominciano a mischiare, quindi a guastare. I triangoli in equilibrio sui portanti sono stati colati nel metallo e recano sulle pareti la traccia della ruggine. Non c’è quasi un mio intervento. Era un esperimento, e il risultato è sorprendente perché ricorda il finto marmo della sala precedente. È un viaggio nella degradazione, nella vita della materia. E c’è un momento di passaggio, che è l’asta di legno: i fogli da un lato sono immacolati, il bastone pulito, mentre nella sala successiva vi è la cenere e inizia a rovinarsi tutto. Il Sole esprime in qualche modo un ricominciare; è come se la mostra fosse circolare. E il video ne rappresenta la tempistica». L’introduzione del ciclo, dell’eterno ritornare su se stesso, il ritmo originario e regolare delle cose: interrogare la natura è sempre stata una priorità per Lulù Nuti. Natura che crea e riprende; natura nella sua relazione privilegiata con l’uomo. Essa, d’altronde, ha sempre il sopravvento, mettendo in pericolo ogni intenzione umana.
Nelle Case vi è infine il riferimento agli elementi: il metallo ricorda il fuoco, il gesso l’acqua, il legno l’aria.

 

Sono fondamentalmente tre le forme che si ripetono installazione dopo installazione: la linea orizzontale, il semicerchio e il triangolo. Ricompare il principio delle scatole cinesi: la reiterazione di figure tra loro somiglianti; strutture che richiamano, anche solo indistintamente, affreschi, ornamenti, componenti architettoniche “nascoste” negli ambienti. «L’idea primigenia era di individuare delle caratteristiche, nelle Case, soprattutto marginali, e renderle tridimensionali. La avevo abbandonata ma poi è tornata. Ogni sala fa eco a quella precedente o successiva: i due archi che costituiscono la S sono i due archi del Balneum; i triangoli in equilibrio ripropongono le decorazioni della Sala dell’Orante, e così via. È un modo per (far) notare “per la prima volta” qualcosa che altrimenti non verrebbe registrato». Accedere all’opera d’arte significa dunque avvicinarvisi attingendo “dietro” la razionalità. «È un cammino inconscio nello spettatore, che probabilmente non si renderà neanche conto dell’affinità tra opera e Monumento, ma avrà l’impressione di ritrovare qualcosa di già visto. È un lavoro – che ho fatto anch’io – di impregnazione. È un processo di intuizione, una sorta di poesia che nasce da una sensazione del luogo».

 

Equilibrio, natura, la scultura che si interroga sulle proprie peculiarità – dall’analisi del piedistallo alla esibizione delle proprie caratteristiche strutturali. Il web come fonte, il concetto di rovina; la sperimentazione sulla materia, la rêverie e l’inconscio. Una costellazione complessa di immagini; un progetto articolato che tocca in otto opere argomenti spesso attraversati da Lulù Nuti e intuizioni da poco pronunciate, facendone presagire un’imminente rivoluzione negli interessi e nelle intenzioni. La mostra è come un ponte tra la fine di un percorso e l’inizio di un altro.

 

1. Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra (anche i corsivi)
2. Gaston Bachelard, La poetica dello spazio

 


 

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Lulù Nuti, Sistema, 2015 - vinarium - Case Romane del Celio - photo Stefano Esposito