School01, la scuola museo a Monteverde

 
APRILE 2015
 
School01 è il progetto di Andrea Biavati per realizzare una scuola museo all’interno dell’Istituto comprensivo “Fabrizio De Andrè” di via Fabiola a Monteverde: nasce dalla volontà di riqualificare un plesso scolastico altamente competitivo dal punto di vista formativo, ma con pochi iscritti, le cui qualità percepite risultano sottostimate; di diffondere un concetto di creatività “sperimentale” coinvolgendo alunni, docenti, genitori, sia nella ideazione che nella esecuzione delle opere; di creare un vero e proprio museo devoluto al quartiere, decentrato rispetto alla città, non un ambiente decorato a compartimenti stagni ma attraversato da un unico pensiero artistico.
 
Andrea Biavati nasce a Roma nel 1967, dove vive e lavora. Dipinge, scolpisce, si esprime attraverso performance, installazioni e videoinstallazioni, ma la sua ricerca lo vede spesso attivo in progetti di carattere sociale, legati al territorio di appartenenza, al processo dell’esperienza che fa crescere l’individuo e la collettività.
 
L’iniziativa ci è piaciuta talmente tanto che ce la siamo fatti raccontare dallo stesso artista, in un’intervista rilasciata a fine marzo a Carlotta Monteverde.
 

School01-wallout03
C.M.: un museo come luogo di cultura viva, dove si creano delle opere per e con i ragazzi, in una scuola media di Monteverde a Roma: una scuola museo. C’è l’arte fatta da un artista con il loro aiuto; una didattica che cerca di scardinare pratiche consuetudinarie… Comincerei spiegando il progetto dall’inizio.
 
A.B.: il progetto è molto semplice, una scuola museo, pensata all’interno dell’Istituto ma per il quartiere intero. Aiutati dall’artista, da me, gli studenti creano delle opere dentro e fuori il complesso, mentre museo significa che possa essere visitato da tutti. È in continua evoluzione e pone i ragazzi in condizione di fare un’esperienza unica. Fa loro comprendere che c’è l’arte contemporanea, che non sono abituati a leggere, e si basa su un approccio sperimentale. Sperimentale significa procedere per tentativi, anche usando materiali di cui non conosci il comportamento, come per il WALL03 esterno, fatto con il pongo, che alla prima pioggia si è letteralmente disgregato. Una parete teoricamente finita che in realtà è appena cominciata. È la cosa che sto insegnando loro: non c’è mai un termine; in un progetto c’è soltanto l’evoluzione e il miglioramento.
 
C.M.: Come hai pianificato il lavoro?
 
A.B.: ho cominciato a lavorare con chi mi dava credibilità, ascolto, e a costruire delle piccole cose tangibili per dar subito un riscontro. Il WALL02 era stato già concepito prima di entrare, l’ho presentato negli 8 mesi di attesa, con il titolo Processo Elementare. Processo Elementare è quello che fanno alle elementari: metti un quadratino, salta quattro quadrati e metti un cerchio; saltane quattro e metti una lineetta, poi coloralo. È la modularità, la ripetizione. Lo abbiamo fatto con un stencil, tre matite, grafite. Con questo WALL hanno imparato a disegnare con la mina sulla parete, che non è orizzontale, liscia, al tavolo, dove è il foglio a girare. La parete sta lì, sei tu che devi muoverti intorno al disegno e stare attento a non sporcare, perché la grafite sbafa.
Come ho organizzato il lavoro? 15 minuti ciascuno, a coppie. Andavo nelle classi chiedendo permesso all’insegnante, alternandoli in ordine alfabetico. Non saltano le lezioni e disegnano un quarto d’ora, che sono concentrati, non s’annoiano. Un ragazzino in un quarto d’ora ha già appreso tutto, sono delle spugne. Mentre lavoravamo però sentivo che a loro mancava qualcosa, l’aspetto creativo. Gli ho detto: “Va bene, la prima parete l’ho disegnata io e voi l’avete colorata; ribaltiamo i ruoli, la prossima me la di segnate voi e io la coloro”.
 
Wall02 1 fase
 
Wall02 1fase
 
WALL02
 

C.M.: sul sito di School01 leggevo un concetto interessante: la ripetizione di un elemento geometrico attraverso una griglia, la cui funzione diviene quella di riordinare la naturale propensione dell’uomo all’errore. Come tentativo necessario all’apprendimento stesso…
 
A.B.: mi sono posto sempre questo dilemma: io sono geometrico, modulare, ma non ha nulla a che vedere con la capacità dei ragazzi, che ne hanno altre; qui hai l’errore umano, perché loro sbafano, c’è chi calca la mano e chi è leggero, vanno storti. Laddove c’è un errore non viene visto come tale proprio perché vorrei andare oltre il meccanismo di ordinare le cose, controllarle. Parto dal concetto che fa parte di un processo di creazione e non lo puoi governare fino alla fine. Il ragazzo, inoltre, lo vede come qualcosa di negativo; nell’arte non c’è nulla di sbagliato, ci si può permettere il lusso di enfatizzarlo l’errore. Sono tutti meccanismi che non conoscono, all’inizio sembravano blasfemie però iniziano ad esserne coscienti. Lo stesso pongo, un esperimento andato male, non uno sbaglio ma il tentativo di comprendere come funzionano le cose. Ed è importante perché non si abbattono quando qualcosa va storto, in uno specchio sociale scolastico dove si usa il segno rosso per marcare ciò che non è corretto. Funziona in alcune logiche ma non in tutte perché devi stimolarli i ragazzi e far capire che l’errore non ti deve bloccare ma è una spinta a costruire. Fermo restando che sono sempre molto attento a chi lo fa di proposito. Chi macchia sul muro con sfregio, chi fa finta di sbagliare, non è errore, è consapevolezza di non voler fare.
 
C.M.: eravamo rimasti al WALL02 seconda fase…
 
A.B.: Questa parete la hanno fatta loro, io non ho messo bocca: il rosone, ad esempio, è stato realizzato da 5 studenti diversi, senza che nessuno si conoscesse. Guarda come non si sovrappongono le figure, hanno tutti lo stesso spazio, l’impianto simmetrico, l’aspetto astratto che va a finire nel gioco. C’è il detonatore e l’esplosione, questo gonfia i palloncini, abbiamo il pendolo, il barboncino stilizzato con dei quadrati e triangoli, i palazzi popolari di fianco. Anche qui sono andati oltre, avevano il cerchio, non gli bastava, ne hanno uniti tanti e hanno creato il fumetto, bleffando. Questa parete è meglio rispetto alla mia, perché sa di fresco.
 
WALL02 2fase
 
WALL02 seconda fase
 
WALL02
 

C.M.: questo disegno lo state riportando in un’altra aula.

A.B.: l’insegnante di musica vorrebbe usarlo come spartito e farlo interpretare ai ragazzi. Mi ha reso felicissimo perché è esattamente così che intendo il progetto, in divenire. Non devo essere per forza io a dare origine alla proposta creativa ma può venire da un alunno, da un docente, è questo lo spirito giusto perché se tutti partecipano e tutti lo sentono proprio, sono i primi a difenderlo. Ho riprodotto il disegno della parete al computer per stamparlo su fogli A4, a pezzi, e rimontarlo nella sua aula. Le ho chiesto se è possibile, una volta eseguite un po’ di sperimentazioni, realizzare un video, documentarlo. Questa è cultura viva: quando un insegnante prende un disegno degli studenti, che è astratto, e dice interpretiamolo musicalmente, ed i ragazzi si impegnano per attivarlo, è esattamente l’esercizio che fa un artista contemporaneo, di qualsiasi livello: attua un’idea e lo fa in maniera centrata. Questo non lo avrei potuto pensare io, non mi appartiene, ma mi piace di più proprio perché non mi appartiene.
 
C.M.: poi c’è il WALL03
 
A.B.: l’ho chiamato WALLOUT03, all’esterno, il terzo realizzato. Il disegno rappresenta dei ragazzi che si lanciano un oggetto, una “palla” che esce fuori dal campo, rientra, poi si trasforma in esagono, pentagono e quadrato. A dire che è un cerchio. Parliamo di geometrismi, perché la scuola suggerisce questo. A me da un punto di vista creativo non soddisfa, vorrei sempre fare qualcosa che vada al di là, ma mi rendo conto che devo parlare un linguaggio il più comprensibile possibile. Posso venir qui e far la cosa più bella al mondo, concettuale, ma se non viene capita è un errore; non è più un progetto sociale ma un mio progetto, che voglio imporre.
 
WALLOUT03
 
C.M.: il 29 marzo avete presentato la ciclabile light, che non riguarda più solo la scuola ma il quartiere intero…
 
A.B.: quando è nata School01 è venuto il Municipio con due Consiglieri che ci hanno parlato della giornata ecologica, proponendoci di presentare qualcosa con i ragazzi. Il progetto light è questo: una ciclabile casa-scuola che viaggia sul marciapiede con una segnaletica semplice, realizzata dagli alunni, che li regolarizzi, partendo da un assunto: loro già vanno sul marciapiede in bici, il problema c’è, lo possiamo risolvere se li legittimiamo. Diciamo che la ciclabile light può essere fruita solo dagli scolari che vanno alla scuola dell’obbligo, elementari e medie: che traffico ci può essere? Dalle 7.30 alle 8 all’entrata, e all’uscita dall’una all’una e mezza.
Mi piace talmente tanto perché è semplice come solo i ragazzi sanno fare, che tendono a risolvere un problema. Ho fatto comprendere loro che ci sono degli step: è difficile insegnare che un compito è perpetuo, perché nella loro mente finisce nel momento in cui viene consegnato. La consegna è solo l’inizio. E sarà lunga. Io posso decidere autonomamente di perdere mesi della mia vita, ma loro magari non vogliono perdere 2 anni della loro per fare una ciclabile light che non potranno neanche vivere perché staranno al liceo.
 

ciclabile light
 
C.M.: infine avete tracciato la segnaletica per orientarsi nel complesso, anche se nel frattempo è cambiato tutto, e c’è stato il laboratorio di ceramica, che è interessante perché ne è nata una vera e propria installazione.
 
A.B.: abbiamo realizzato tanto in una scuola dove in genere ci si impiegano decenni a fare qualsiasi cosa perché i ragazzi sono attenti, i docenti sono attenti, la preside è presente. Il progetto è nato così. Ho iniziato a far ceramica proseguendo un vecchio progetto di maioliche da attaccare esternamente alla scuola. Quelle vecchie sono ridotte male, vandalizzate. Ad un certo punto ho detto: “Ragazzi, facciamo un’installazione site-specific”. Ma che cos’è? Insinuare queste nuove parole, gergo “contemporaneo”. Fino a quando non hanno immaginato lo spazio per realizzarla – un esercizio commerciale, telefonia ovviamente – e cosa esporvi, gli smartphone. Il progetto è partito: un’installazione site-specific all’interno di un negozio di telefonia. Mi sono messo a cercarlo, e loro a fare gli smartphone. È iniziato per gioco, e ne hanno fatti 100, tanto che hanno cominciato ad odiarli. “È fatica!” mi hanno detto. Parola chiave; fare arte, creare, è fatica. Alla fine hanno tirato fuori oggetti strepitosi, belli, avanti. Sono diretti e divertenti. Sanno comunicare. Ma la pianificazione – che per loro era finita – vagli a spiegare che è appena cominciata. Ora dobbiamo dargli un nome, un prezzo, installarli, fare gli inviti come se fosse una festa. Il negoziante ha risposto entusiasta ed assocerà in quella giornata ai cellulari veri, all’acquisto, un’opera di ceramica.
 
smartphone 2
 
C.M.: sul sito “vendete” dei metri quadri di muro, avete una pagina per le donazioni. Fate campagne di raccolta fondi? Come finanzi l’iniziativa?
 
A.B.: il fatto che ci siano pochi soldi è positivo perché innesca un meccanismo di vera creatività. Per la ciclabile light ad esempio abbiamo avuto una parziale sponsorizzazione da chi ci ha stampato il materiale per presentarla. Sul sito internet, che è poco navigato perché non è pubblicizzato, perché non ci sono i soldi per pubblicizzarlo, abbiamo inserito la possibilità di acquistare un metro quadro di muro: ciascun utente, se fa una offerta di 10 euro alla scuola, avrà legittimato il suo nome sulla parete. Dei “committenti” che donano simbolicamente uno spazio, permettendo ai ragazzi di esprimersi. Stessa cosa la stiamo facendo con la ceramica. Se fai una donazione ti verrà regalata un’opera, ma non puoi sceglierla, non è una compravendita, non si può fare. È un ringraziamento concreto che la scuola fa nei confronti di chi crede nel progetto. Gratifichiamo le persone che fanno la donazione, perché sono importanti. Vorrei arrivare a chiedere un euro a ogni abitante di Monteverde che crede ad una scuola museo all’interno del proprio territorio. Tutti potrebbero assumersene, in una piccolissima percentuale, la responsabilità.
 
C.M.: li avete coinvolti gli abitanti del quartiere?
 
A.B.: piano piano sta avvenendo, ma pochi ancora lo sanno. Per parlare con il quartiere hai bisogno di tutte le Associazioni, del Municipio, ed è difficile perché quando vedono che non li puoi aiutare a tua volta… Poi molte hanno una connotazione politica, che non giova alla crescita né del quartiere né dei ragazzi, non ci deve essere per forza un tornaconto. Mi vien da pensare che la risposta dei ragazzi è sempre quella: noi costruiamo per il bene di tutti, non abbiamo distinzioni, e non ci insegnate a farle. Tutto quello che ne viene è sempre propositivo e nel rispetto di ognuno. Non ho la capacità mediatica di arrivare a raccontare il progetto al quartiere, ma è quello che dovrebbe avvenire.
 
orsetto ceramica - oggetti donazione
 
C.M.: non mi hai ancora parlato dei genitori. Che ruolo hanno, anche nel diffondere la notizia?
 
A.B.: con i genitori non ho molte relazioni perché è una cosa che compete gli insegnanti, io non sono un insegnante. Non ho mai avuto modo di confrontarmi realmente con loro. Sanno ovviamente che sto qua, ed ho parlato con quelli che hanno voluto approfondire. Comunque coinvolgo sempre tutti quelli che hanno voglia di costruire, laddove ci siano proposte intelligenti, di crescita. Mi piacerebbe che mi aiutassero mettendo il loro know-how a disposizione, come un avvocato per la ciclabile light, per concepirla al meglio di modo che sia blindata da un punto di vista legale. Oppure divulgando il progetto, aiutandoci con le donazioni… i modi sono tanti.
 
C.M.: vivi ormai la scuola da sei mesi, quali sono le problematiche che avverti?
 
A.B.: in questa sede si fanno 10.000 progetti diversi, ma nel quartiere ha una brutta nomea. Sono arrivati i Norvegesi affermando “Siete uno degli Istituti migliori del Paese perché alle Prove Invalsi i ragazzi risultano trai primi in Italia”. Lo sa l’Europa, non lo sa il quartiere, che gli basta la voce del primo che dice che sono tutti maleducati, che passa questo concetto. Ci sono sicuramente le problematiche comuni a tutte le scuole, l’edilizia, pochi iscritti, ma da qui escono fuori cervelli così.
Poi è una grande famiglia, dove tutto è volto a recuperare una tranquillità, serenità.
Grandi problemi di carattere civile non ce ne sono stati. In un altro plesso della zona hanno dato fuoco a un’aula, ma dipende da entità esterne non dai loro studenti, e la risposta di School01 è stata immediata.
 
C.M.: con School01 i ragazzi si avvicinano all’arte contemporanea e apprendono una via creativa nell’affrontare la loro quotidianità.
 
A.B.: non so se è una crescita dovuta a School01. Però so che le cose che dico passano, non devo avere una prova tangibile. L’insegnamento è così. Uscirà fuori col tempo.
Mi piace sempre pensare che l’arte sociale si sviluppa attraverso le esperienze, non è soltanto un parametro estetico, lo è di vita. L’arte, come ho spiegato tante volte loro, è un caleidoscopio attraverso il quale possono veder le cose in modo bello e cambiarle. Assieme alla creatività ti aiuta a oltrepassare delle barriere, e non esistono le barriere, sono quelle che ti costruisci da solo, in relazione a cosa gli altri ti dicono per non poter andare avanti.
 
INKiesta
 
C.M.: state già pensando di ampliare il progetto, attivando anche dei contatti con l’estero?
 
A.B.: stiamo cercando delle collaborazioni. Ho parlato con la preside di una scuola di Potenza, ma lì hanno una difficoltà che è ancora più complessa rispetto a quella che ho avuto io nel trovare una scuola. Reperire una figura come la mia che ha una capacità non solo creativa, sociale, di relazione con i ragazzi, ma anche grafica, organizzativa, che sappia allestire un sito internet, fare e montare le riprese, documentare con le immagini, tutto da solo. Io sono autosufficiente. Quindi loro devono trovare realmente dei fondi per pagare chi segua tutto questo. Io mi sono proposto di fare la supervisione, ma non ho la capacità di seguire tutto. Alla Norvegia stiamo scrivendo per chiedere di sposare il progetto e creare uno scambio o ponte.
 
C.M.: hai in programma di coinvolgere altri artisti? Anche per presentare ai ragazzi punti di vista diversi dal tuo…
 
A.B.: mi è stato richiesto più volte “Perché non chiami pittori famosi in maniera tale che si dia più visibilità alla scuola?”. E su questo la risposta è stata molto chiara. Non vogliamo artisti connotati dalla critica per prendere il merito rispetto al lavoro fatto. Vogliamo che siano i ragazzi a emergere. Io sono l’ultima ruota del carro e devo rimanere tale. Inoltre ci sono difficoltà legate ai permessi, le cose vanno organizzate e pianificate. Fatte le dovute premesse, per quel che mi riguarda il progetto è aperto a tutti quelli che vogliono costruire qualcosa insieme ai ragazzi in maniera intelligente, e non autoreferenziale.
 
C.M.: sei in contatto con altre realtà che portano avanti programmi simili al tuo?
 
A.B.: no. Ho cercato di vedere su internet altre scuole museo, ma diventa sempre una enorme perdita di tempo perché non essendo sponsorizzate o promosse bene, sono nascoste. Quando ci capito per caso però le metto in una pagina specifica del sito dove parlo di arte sociale, di questa tematica. Sarebbe bello creare delle compartecipazioni, ampliare la rete, giocare insieme. Ma il problema è che tutti portano avanti la propria idea. Allora bisogna sempre capire e chiarire prima cosa è di chi.
 
C.M.: cosa ha imparato Biavati da questa esperienza?
 
A.B.: sto imparando adesso a relazionarmi con i ragazzi, dagli insegnanti, vedo come si confrontano con loro. Ho un piglio abbastanza rilassato ma anche severo, che è una formula giusta, amico nel rispetto. Ho capito che non possono ascoltare una persona come me, che parla usando termini artistici tecnici; bisogna comunicare in modo diverso, semplice, nel gioco ma seriamente, concretizzare velocemente le cose perché sono rapidi in tutto. Sto imparando a relazionarmi con quelli che mi vogliono bene, ma soprattutto con quelli che non stanno nel progetto, non li devo abbandonare e isolarli, anzi devo lavorare più su di loro.
Per un artista c’è sempre una sete di riscatto: dimostrare che si è bravi. Dentro la scuola hai poche probabilità di emergere, perché tutte le cose sono subordinate, legate alla volontà dei ragazzi. Io sto imparando a smettere di fare l’artista, e per me è molto difficile. Non voglio più avere l’idea base da portare avanti, come è stato per il WALL02 prima fase, perché non gli appartiene. La prima volta te lo fanno, la seconda pure, la terza già no perché perdono entusiasmo. Hanno interesse a fare le cose che dicono loro. Io sarò attento, severo, in maniera tale da incanalarne le energie e trasformarle in micro opere d’arte. Questa è l’unica possibile integrazione.
 
School01logo
 
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