PENTAMORFOSI

Claudio Assandri, Francesco Bottai, Davide Dall’osso, Roberto Ferri, Piera Scognamiglio

A cura di Simone Schiavetta, Presentazione di Carlotta Monteverde, Organizzazione Takeawaygallery

 

Stefano Esposito, Francesco Bottai, Roberto Ferri, Piera Scognamiglio, Claudio Assandri, Simone Schiavetta

 

Testi critici di: Maria Arcidiacono, Viana Conti, Maurizio Scaparro, Vittorio Sgarbi, Claudio Strinati

Galleria Opera Unica, dal 13 ottobre al 22 dicembre 2012

 

Pentamorfosi, cinque diverse maniere di declinare la forma: Claudio Assandri, Francesco Bottai, Davide Dall’Osso, Roberto Ferri, Piera Scognamiglio; una rassegna mirata, dedicata al linguaggio figurativo contemporaneo, che si propone di approfondire e mettere a confronto il lavoro di questi cinque artisti, scelti come emblematici di una sensibilità tutta nuova, la cui ricerca pone le proprie fondamenta nel recupero e rinnovato valore della rappresentazione, intesa sia come ricostruzione che come reinterpretazione. Le opere, una ciascuno, si alterneranno di due settimane in due settimane, dal 13 ottobre al 22 dicembre, nello spazio/vetrina della Galleria Opera Unica, in via della Reginella a Roma.
Dissimili e distanti per tecniche e materiali utilizzati, risultati espressivi e poetica, nei dipinti e nelle sculture degli autori in questione si possono rintracciare punti di tangenza e contatto, frutto di una progettualità comune, che riesce a mettere in relazione e creare connessioni tra approcci tanto lontani. La forte estetizzazione, la teatralità del gesto, la riscoperta di un’armonia ed un equilibrio compositivo, nonché una risolta dicotomia tra tradizione ed innovazione ed un uso della figura come fine e fondamento, avvicinano soluzioni in apparenza discordi, risposte parallele ad una necessità di revisione del linguaggio figurativo nel profondo.

 
copertina pentamorfosi
 

CLAUDIO ASSANDRI (1967) – La scultura di Assandri si chiama Lava ed è effettivamente in pietra lavica. Su intervento dell’ artista, con un abile marchingegno, da essa escono fiamme che testimoniano dell’origine stessa di quella materia. Una testa che brucia può produrre reazioni diverse in chi osserva il singolare fenomeno, anche perché la testa in se stessa è modellata con l’energia e la sobrietà che si addicono piuttosto alla forma classica, che normalmente è pura, bianca e intoccabile. E questo culto della classicità c’è veramente nel nostro artista che modella da par suo anche il marmo e che calibra la struttura dell’immagine su principi antichi di equilibrio, armonia, stabilità. Ma il fuoco quando invade la testa provoca invece una sensazione di squilibrio, di disarmonia, di instabilità. Le due anime ci sono veramente in lui: un estro libero e bizzarro e una regolarità maestosa. E’ indubbio, peraltro, che una curiosa inquietudine promani sempre dalle elaborazioni di questo artista che spazia anche nel campo della pittura e che colpisce a fondo chiamando a sé l’osservatore dell’opera fino a costringerci quasi a seguirlo con la perentoria energia della sincerità e della felicità creativa. Arde di passione ma collocandosi nello spazio con la fermezza imperturbabile di chi sente di avere la situazione sotto controllo, quale che sia.
Claudio Strinati

 

ROBERTO FERRI (1978) – Ferri è un fenomeno, ammirevole come e più di un pittore antico. Ha, di colpo, superato i pittori figurativi più abili nella duplicazione della realtà. Il suo primo pensiero è stupire. Con formidabile disciplina rimedita la grande tradizione della pittura barocca, da Caravaggio a Ribera, da Bernardino Mei a Tiepolo. In realtà, Ferri è un virtuoso che riporta nella realtà i sogni. Talvolta essi sono incubi. Ma l’armonia delle forme domina i soggetti anche nelle loro torsioni più audaci, nelle mutilazioni, nei traumi. L’occhio di Ferri registra e riproduce l’ordine delle cose in un mondo dove tutto funziona, e c’è spazio anche per il male. Ed eccoci qui, davanti a quadri antichi sorprendentemente moderni; apparentemente accademici ma trasgressivi. Una sfida al resto del mondo. La figura umana per Ferri è inevitabile ma deve essere anche trionfante, eroica, in un continuo riferimento a modelli e composizioni già pensate e da lui portate a uno stupefacente rigore. Così egli determina un effetto borgesiano: chiede e ottiene stupore, e dipinge, oggi, quadri antichi: così noi davanti ai suoi quadri non sapremo dire in che epoca siamo. Un iperbarocco? E insieme un neoclassico e un caravaggesco. Ferri continua l’inganno, non sarà mai abbastanza contemporaneo e mai un pittore antico. Dipinge come un antico soggetti moderni ma, di fronte al corpo umano ignudo, non si può fermare, non può deformare (se non è deforme), ed è costretto a essere un altro. Nuovo come pittore antico; antico come pittore moderno.
Vittori Sgarbi

 

PIERA SCOGNAMIGLIO (1985) – Silence è un lavoro meno recente, interessantissimo per capire come le tematiche legate all’incontro e ai conflitti dell’eros siano stati modulati inizialmente dall’artista attraverso un linguaggio squisitamente pittorico. Un’ intensità corposa della pennellata, diversa dalle grafie leggere delle ultime opere, è servita a definire la plasticità dei corpi, la vicinanza fisica che cela una forte estraneità psicologica, il corpo femminile è esposto languidamente ma è come se la donna fosse assente a se stessa. L’uomo è solo un’ombra, protagonista è il silenzio, l’istante rarefatto che segue la passione e sembra annunciare un addio, due presenze che si collocano solidamente in uno spazio angusto, sono accostate, vicine, strette in un’intimità dietro la quale si intuiscono due solitudini.
Maria Arcidiacono

 

FRANCESCO BOTTAI (1977) – C’è in questo “Galileo da Arcetri” di Bottai , qualcosa che mi è parsa diversa dalle altre sue macchine teatrali. Voglio dire, intanto, l’ Uomo. Per la verità l’uomo è sempre, o quasi sempre, presente nelle sue sculture, da Amleto a Pulcinella ma qui mi ha colpito per una presenza-emozione diversa. L’uomo Galileo di Bottai è soprattutto o soltanto l’Uomo con il cannocchiale, messo quasi inconsapevolmente a unire due punti fondamentali del Galileo di Brecht, l’arte e la scienza e l’uso che il potere cerca di esercitare, non sempre correttamente, sull’uomo e sulla macchina. Il soggetto doppio Galileo-cannocchiale, differenzia così questa scultura che non casualmente Bottai ritiene conclusiva di un suo periodo creativo e ci lascia uno stimolo per il nostro futuro, quello di vedere di più, di vedere meglio.
Su questo riflettevo rivedendo la macchina pensante di Bottai, che forse ci aiuta, con qualche ottimismo in più, se volete, a credere sull’utilità del nostro lavoro e sulla costruzione sperata per il prossimo futuro di un umanesimo scientifico: l’uomo appunto e il cannocchiale.
Maurizio Scaparro

 

DAVIDE DALL’OSSO (1971) – Sicuramente l’artista, pur avendo mantenuto del tutto inalterata la sua ricerca personale-artistica, sulla spiritualità dell’uomo contemporaneo, ha trasformato, invertendolo, il proprio processo creativo. Mentre nei suoi primi anni di ricerca la materia era finalizzata alla parte finale dell’espressione della ricerca stessa, oggi i materiali plastici che utilizza nella fusione, sono lo stimolo principale della sua realizzazione. Il suo attuale lavoro sui policarbonati verte sulla possibilità/impossibilità di arrivare, attraverso la fusione, ad un grado zero della materia, alla ricerca di un vuoto dal quale il processo creativo possa rigenerarsi. Un vuoto impossibile di materia umana, che lasci soltanto un movimento nell’aria, un fremito attraverso la pelle di chi per un attimo si sofferma, come un ricordo improvviso che non si riesce a mettere a fuoco perché già passato, come essere per una parentesi di tempo di nuovo spirito
Viana Conti

 

 

• L’articolo di Claudia Quintieri su INSIDE ART [Leggi]

• La rassegna stampa in pdf [Leggi]