OH MY DOG! di Claudio Di Carlo

a cura di Carlotta Monteverde, organizzazione: Takeawaygallery

 

staff

 

Testi critici di: Lorenzo Canova, Carlotta Monteverde, Germano Scurti, Antonio Zimarino
Aurum di Pescara, dal 30 agosto al 9 settembre 2012

 

Giovedì 30 agosto, ore 19.00, nell’ambito della 3° edizione del Festival Dannunziano e in concomitanza con l’apertura del Festival del Cinema Aurum di Pescara, concorso di corti d’autore e registi emergenti Settimo Senso, direzione artistica Arianna Di Tomasso, prende avvio la nuova mostra personale di Claudio Di Carlo “Oh my dog!”. Le Sale Flaiano e Barbella del secondo piano dell’Aurum la fabbrica delle idee, divengono palcoscenico di un incontro di “arte totale”: sedici tele, di cui nove inedite, una videoproiezione; un evento multidisciplinare, in cui suoni, musica ed azioni vedono coinvolte, sotto la direzione dello stesso Di Carlo, le sperimentazioni acustiche con musiche originali di Diego Conti, con Andrea Moscianese e Antonio Mostacci, e la performer Angelique Cavallari.

 

Proveniente dal teatro d’avanguardia, dalla musica rock, dalla commistione multimediale, inaugurare una propria esposizione, un ciclo pittorico, con un happening, non è inconsueto per questo artista: interazione ed interdisciplinarietà, possibilità di dialogo tra linguaggi diversi per rafforzare o dilatare contenuti ed intenzioni; aprire nuove possibilità espressive. Opportunità di coinvolgimento, collaborazione e confronto – principi guida dell’approccio artistico di Claudio Di Carlo – l’evento performativo diviene motivo di “anarchica confusione”, improvvisazione, sorpresa, spaesamento ed inclusione, rendendo ogni spettatore un possibile attore. Replicato la sola serata inaugurale, diverrà parte di un catalogo con dvd.
Si parte dalla Sala C. Barbella, dove sette quadri, estrapolati da serie precedenti di lavori, ed un video del2003, costituiscono una sorta di introduzione o presentazione, preludio e testimonianza di un percorso artistico che negli anni ha saputo costruire un discorso coerente ed identificativo, fondendo e sovrapponendo personale e collettivo, pubblico e riservato, mettendo letteralmente a nudo desideri ed inquietudini di un’intera generazione, tra quotidianità ed urgenze sociali. Gli argomenti: dalla sessualità, alla libertà femminile, alla magia femminile; il cambiamento e la lotta politica, le stragi, l’ambiente, lo sgretolamento delle basi della nostra società, dando voce e testimonianza alle controculture e culture underground degli ultimi decenni. Protagonista delle immagini di Di Carlo sempre la donna, erotica, sensuale, icona e simbolo, strumento di cui potersi servire, prendendo esempio dal linguaggio pubblicitario, per veicolare più celermente il contenuto; presenza familiare o algida e distante, ammiccante o pronta alla sfida, elemento decorativo e chiave allo stesso tempo di ogni dipinto. Medium e messaggio insieme.
Nella Sala E. Flaiano viene presentato il nuovo lavoro di Di Carlo, “Oh my dog!”, storia di amore raccontata in nove atti, nove tele di grandi dimensioni, diario intimo e privato di vissuto (stra)ordinario, immagini oscillanti tra tensione ed attesa, desiderio e turbamento, dolci e crudeli allo stesso tempo; vista e sensi stuzzicati e tormentati, gioco di una seduzione esplicita, dichiarata, o che si rivela inconsapevolmente, nella spontaneità di veloci gesti quotidiani. Come spesso accade nei dipinti di Di Carlo, la narrazione avviene per particolari, dettagli “fotografici”, quei piccoli elementi esemplari ed evocativi che arginano fuori dal quadro qualsiasi ripetizione o distrazione visiva. Il taglio è dal basso in alto, il punto di vista vuole essere quello di un cagnolino: oh my dog!, gioco di parole tra sbalordimento ed eccitazione, metafora di ruoli e del rapporto uomo/donna,volontaria (volontaria?) sottomissione, ai piedi dell’oggetto del desiderio, a terra, quasi strisciante. Immagini in bianco e nero, come lastre in negativo,si alternano a colori freddi e squillanti, vividi ed intensi, accattivanti,dominati dai toni verdi acido, i viola ed i blu.

 

Oh my dog! è il manifesto di una sensualità e sessualità femminile libera ed espressa senza complessi, lontana ancora oggi dalla conquista. Sebbene la vena polemica esplicita venga dissimulata dalle forme perfette e dalla facciata erotica, riallacciandosi idealmente alla serie di “Life in” del 2003, dove le dinamiche tra i sessi rappresentavano l’unico tema centrale, raccontato in chiave intimistica e personale, prosegue in realtà ineluttabilmente le sequenze precedenti (“Allegro ma non troppo”, 2010; “Era di Maggio”, 2009; “Trashchic”, 2007; “Crash”, 2006), attraverso il messaggio principalmente politico e sociale. Rispetto a questi ultimi però presenta una sterzata, quasi una pausa o distensione: abbandonata l’inclinazione dark e noire, di “erotismo tragico”, la sua donna si umanizza. Le pose, per quanto forzate nel tentativo di seduzione, non sono più quelle stereotipate estrapolate dalle pubblicità e dal glamour; Eros e Thanatos si scindono; la citazione ed il prelievo dai media rimpiazzati dall’osservazione della vita pulsante; la ripetizione e la serialità, di marca dichiaratamente pop, stemperati nella loro freddezza dal calore del gesto affettivo.
La mostra dell’Aurum, in cui vengono esposti altri cinque quadri che coprono un arco di tempo dal 2006 al 2010, ed un video del 2003, diviene testimonianza di un percorso artistico che negli anni ha saputo costruire un discorso coerente ed identificativo, fondendo e sovrapponendo personale e collettivo, pubblico e riservato, mettendo letteralmente a nudo desideri ed inquietudini di un’intera generazione, tra quotidianità ed urgenze sociali. Gli argomenti: dalla libertà alla rivoluzione sessuale; il cambiamento e la lotta politica, le stragi, l’ambiente, lo sgretolamento delle basi della nostra società, danno voce e testimonianza alle controculture e culture underground degli ultimi decenni.

 

CON LA PARTECIPAZIONE DI: Diego Conti (musiche originali), Angelique Cavallari (performance), Andrea Moscianese (computer programming), Antonio Mostacci (violoncello), Beatrice Tosi (Musa), Perla (cagnolina).
RIPRESE: ph tv; POST PRODUZIONE: strike fb; FOTO DI SCENA: Silvia Mazzotta e Andrea Buccella; IMMAGINI E VIDEO: Gianluca Stuard, Stefano Odoardi

 

 

LORENZO CANOVA, Gelidi labirinti sensuali

Sospesa tra il calore dell’eros e la raffinata freddezza di un’esecuzione impeccabile e levigata, la pittura di Claudio Di Carlo è giocata sul registro raffinato di un’intensa sensualità che indaga il mistero di una femminilità rivelata solo attraverso particolari di corpi e accessori, ma mai attraverso la visione diretta del volto delle donne rappresentate. Per seguire questa visione, il metodo costruttivo dell’artista dialoga volutamente con la tradizione della Pop Art e dell’Iperrealismo nell’uso della fotografia legata alla pittura, risalendo una tradizione oramai più che secolare, da Degas all’abruzzese Michetti, a cui Di Carlo aggiunge tuttavia una qualità personale nella scelta delle inquadrature e nel taglio formale con cui compone la struttura definitiva delle sue opere, modulandone l’impianto disegnativo e cromatico a seconda delle esigenze concettuali ed espressive. Alternando sapientemente opere monocrome giocate sul registro fotografico e concettuale del grigio e quadri dove il colore pulsa in modulazioni acide ed elettriche, Di Carlo costruisce così un enigmatico racconto fetish, dove le collane, le scarpe e l’intimo si intrecciano alle anatomie e all’algida perfezione di gambe e di corpi che mostrano la loro anonima bellezza per condurci senza attese nel loro gelido labirinto di sensualità.

 

GERMANO SCURTI, Le donne non vengono da Venere e qui i cani mordono

Claudio Di Carlo ha sempre posto il proprio sguardo sulle forme dello sconfinamento. E’ un artista proteiforme che ha attraversato la pluralità delle esperienze controculturali e artistiche degli anni Settanta e Ottanta. Cresciuto nell’humus dell’anarchismo etico-politico, si è occupato di musica underground e di teatro di ricerca. Progetta spazi culturali, crea gruppi di intervento artistici,  spettacoli multimediali, produce gruppi rock, inventa e organizza Festival, happenings e performances, si occupa di musica elettronica. Un moto centrifugo che ha assunto la funzione necessaria della propria creatività. Un crescente sentimento di vocazioni plurime – quasi l’immagine di un io che si fa moltitudine – significativamente sconnesse ai vincoli autoritari o mediatori con cui la nostra società regolamenta la propria eccitazione e repressione. Nei suoi risoluti ingressi nell’“altro”, ha varcato soglie date per serrate in una spirale tanto intensa quanto estesa. In questo Claudio Di Carlo sembra incarnare la personalità multi-identitaria e nomade del mondo post-moderno, quanto mai radicata tra le frontiere sensoriali dei linguaggi somatici ed esperienziali. Un continuo lavoro di “ricombinazione” il suo che ha sempre solcato in effetti le forme estetiche della vita quotidiana, le culture spettacolari dei consumi diffusi, per approdare alla concentrazione e al contenimento di una forma, all’integrità di una specifica esperienza sensibile. Non banalmente per esprimere ciò che si è o essere ciò che si esprime, ma, fedele alla propria natura, per “diventare ciò che si è”. La trasfigurazione pittorica di questo conatus vitale, in passato atopico, senza fissa dimora e inoggettivabile, sembra aver trovato una specifica zona di intensità: la figura femminile in quanto immagine del desiderio. Ovvero, il desiderio quale primaria mobilitazione del bios, individuale e collettivo, e quale motivo originario della spettacolarizzazione dei consumi, della superficialità delle mode, rappresentato fino al suo “rovescio”, fino ai margini estremi del Trash e del Crash della nostra civiltà. “Siamo in una zona di correnti sessuali elettriche”, direbbe William Burroughs.

 

ANTONIO ZIMARINO, Oh my dog!

Il punto di vista del cane è quello decentrato, fuorischema e inverso.Dal basso verso l’alto coglie dettagli e particolari inediti: gli occhi di un uomo che, attraverso il cane che a volte diventa, osserva l’eros, il gesto, le luci, gli spazi interni, i muti discorsi  delle cose come fossero incombenti su di lui. Non domina più, è alla pari o sottomesso alle cose su cui fissa lo sguardo. Claudio Di Carlo ci inverte le prospettive mettendoci nel punto di vista del cane: la lucida esatta chiarezza della pittura non basta a dare una logica: il punto di vista è sempre più quello drammatico di chi pur osservando, non è più in grado di comprendere l’enorme complessità che c’è dietro il gesto, dietro la situazione, e dietro la tensione erotica che essa suggerisce. Il particolare incombe così, come espressione enigmatica di tutto quello che dal basso, non riusciamo più a capire di tutto il non detto che ha generato l’interesse per quel particolare. E’ come se leggessimo di un libro solo le ultime righe della conclusione lasciandoci all’oscuro di quale storia abbia espresso l’ultimo gesto,l’ultimo particolare, l’ultimo sprazzo di pulsione d’amore.

 

 

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